L’arte dei pizzaioli che diventa patrimonio Unesco è una notizia che assume un significato molteplice non solo per Napoli e i napoletani ma anche in termini di riconoscimento delle tradizioni locali, ci fa riflettere sulla centralità del cibo (sano) in questo periodo storico, così come sulla popolarità globale di un prodotto che probabilmente è il più amato al mondo anche grazie al prezzo abbordabile e quindi, ancora, rompe lo schema secondo cui spesso le cose più “esclusive” possono essere “irraggiungibili” (meccanismo frequente nel mondo del vino, anche se ci sarebbe da discutere a fondo su cosa significa “esclusivo” o quanto questo sia sinonimo di qualità, termine che – volontariamente – ho evitato soprattutto su un terreno così scivoloso come quello enogastronomico in cui la componente soggettiva, in un modo o nell’altro, ha il suo peso).
La notizia l’abbiamo letta un po’ tutti, diamo una sbirciatina ai titoli dei principali giornali nel mondo che ne stanno parlando.
- La Repubblica: “L’arte del pizzaiuolo napoletano diventa patrimonio dell’Unesco”
- Il Corriere della Sera: “Napoli, l’arte della pizza è patrimonio culturale dell’Unesco” oppure “Cosa vuol dire che la pizza è diventata patrimonio dell’Umanità per l’Unesco?“
- The Guardian (UK): “Naples’ pizza twirling wins Unesco ‘intangible’ status”
- The New York Times (USA): “See Naples and Pie: Pizza Making Wins World Heritage Status”
- Le Monde (Francia): “L’« art » du pizzaïolo napolitain entre au Patrimoine immatériel de l’humanité”
- El País (Spagna): “La pizza napolitana, Patrimonio Inmaterial de la Humanidad”