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La partita del vino “naturale” si gioca su 2 assi che si sviluppano sia sul piano della comunicazione che su quello della produzione; dualismi che generano confusione e si alimentano vicendevolmente.

Rispetto alla comunicazione scrivevo già di fossilizzazione su posizioni totalmente a favore o totalmente contrarie rispetto a questa nuova filosofia produttiva che meriterebbe, invece, un approfondimento per andare oltre uno schierantismo atrofico. Posizioni estreme frutto anche dell’ulteriore dualismo diffuso sul piano produttivo. Mi riferisco alla convivenza di produttori “finti naturali” che sfruttano l’euforia del momento grazie a certificazioni “facilone” (e geograficamente variabili) con prodotti tecnicamente perfetti che di “naturale” hanno poco; all’opposto di produttori propriamente naturali che offrono vini marcati da difetti evidenti con l’effetto di allontanare i più. Non solo, si scontrano i sostenitori che ritengono i vini convenzionali artefatti, e i detrattori che accusano i produttori naturali di voler far arretrare il progresso.

Insomma, un fenomeno che non ha nemmeno una definizione legale ha scatenato un conflitto interno come non se ne vedevano da tempo innescando ulteriore confusione nei consumatori che erano tendenzialmente legati ad un’iconografia vitivinicola utopica fatta di colline, feste della vendemmia e magici processi di trasformazione in botte, ignorando la lista di trattamenti e prodotti chimici ammessi per la produzione (non tutti e non per forza utilizzati nemmeno dai produttori cosiddetti “convenzionali” sia chiaro).

Con l’obiettivo di iniziare a fare chiarezza ho intervistato Giampiero Bea, produttore umbro, solido riferimento nel settore nonché presidente del Consorzio Vini Veri. A mio avviso, ancor prima che la ben nota competenza, sono coscienza e consapevolezza le forze che animano Bea, lasciando ben sperare per un lavoro costruttivo che potrebbe trascinare la sua stessa regione alla ricerca di una sua identità.

 

  • A che punto siamo col vino natutale in Italia? E in Umbria?

Siamo nella fase dell’euforia, seguirà un assestamento come in tutti i percorsi”. Mi ricorda subito che vent’anni fa non si sapeva nemmeno il significato di vino naturale, oggi si è in grado di fare distinzione tra biologico, biodinamico, naturale etc. fino a un importante traguardo di Vini Veri rispetto all’etichetta trasparente grazie alla quale è possibile indicare la quantità esatta di solfiti e la dicitura che attesta l’assenza di altre sostanze ammesse per uso enologico. Nonostante questi piccoli-grandi risultati, sottolinea la confusione di cui sopra e che spinge Vini Veri ad una grande selezione dei produttori ammessi (meno del 10% delle richieste). Un quadro che vale sia sul piano nazionale che regionale. Tra vini con difetti e vini “edulcorati”, aggiunge: “la verità, come al solito, sta nel mezzo” e la risposta è – appunto la ricerca continua (dalle analisi su rame a sistemi di controllo meteo sempre più sofisticati e così via).

 

  • Rispetto alla comunicazione, invece?

Con l’euforia, cui Giampiero accennava in apertura, si rischiano anche situazioni dannose. Mi fa notare che adesso molti vogliono “salire sul carro vincente” e questo può provocare danni al settore sporcando l’immagine dei produttori più autentici. Quindi piano con l’ottimismo: i dati sono incoraggianti ma serve fare ancora tanto lavoro magari in termini di formazione adesso che c’è una consapevolezza diversa.

E alla mia provocazione: “e se l’Umbria, regione alla ricerca di una sua identità forte nel settore, ripartisse dal vino naturale?”, mi risponde che il successo dell’anteprima dell’evento nazionale di Vini Veri (che si è tenuta per la seconda edizione a gennaio, ad Assisi) non può che essere un importante spunto di riflessione. Chiude con una citazione “Il XXI secolo o sarà contadino… o non sarà” (Silvia Pérez).

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