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In attesa dell’Only Wine – festival umbro dedicato ai giovani produttori e alle piccole cantine – m’interrogavo sul ricorrente dibattito circa il confronto tra piccoli produttori e grandi aziende. Una questione che si potrebbe probabilmente estendere a tutto il settore enogastronomico andando spesso a ricalcare il confronto tra il grande ristorante con un determinato servizio e il piccolo, come una trattoria, dove il titolare ti accoglie personalmente e dalla cucina escono gli gnocchi fatti a mano dalla nonna.

Più precisamente il nocciolo della questione si risolve nella domanda: quale vino è migliore, quello dei piccoli produttori o quello delle grandi aziende? La risposta, però, non è altrettanto immediata alimentata, tra l’altro, da una soggettività che supera addirittura le preferenze personali relative a colore, varietà, tipologia di vino e zona. Perché la domanda che ne scaturisce a sua volta è: cosa s’intende per “migliore”? Il vino più bevibile, godibile e perfettamente eseguito oppure quello più “territoriale” e “autentico”; il vino dal miglior rapporto qualità-prezzo o quello più “raro”? Non è banale perché capita spesso che il consumatore sia alla ricerca di un vino “raro, buono, territoriale” per poi storcere il naso nel momento in cui scopre il prezzo che lievita proprio nel raggiungimento di queste ambite caratteristiche.

Io credo ci sia molta confusione, scottati come siamo dalla globalizzazione che ha spesso demonizzato il “grande” a prescindere. Certo è che quando una produzione è limitata nei numeri il prezzo sui mercati sale e così la relativa percezione del valore. Ecco che oggi, nel settore vino, esiste una sorta di fenomeno di machismo all’inverso: tutti tendono a ridurre le proprie dimensioni, i propri numeri (ettari coltivati, numeri di bottiglie prodotte) pur di apparire “piccoli” e in un certo senso “rustici” come sottolineava anche David Williams sul The Guardian, il quale preferisce definire il piccolo “bello” e il grande “utile”. In effetti, i grandi produttori hanno maggiori risorse innanzitutto per il marketing (trascinando un brand e un intero territorio in giro per il mondo), ma anche per determinati investimenti come sperimentazioni di tecniche e macchinari oppure lunghi invecchiamenti che comportano l’impiego di spazi fisici ulteriori nonché l’assunzione di un rischio e un mancato guadagno, tutti elementi che è più probabile possa sopportare la grande azienda e non il piccolo produttore che, magari, produce una sola linea con la quale dover fare cassa. Banalmente, un esempio tra i tanti potrebbe essere lo Champagne il quale, di base, è un vino ottenuto da un blend di più vini anche di annate precedenti (vini di riserva) a garanzia di un prodotto coerente anno per anno; ebbene molti esperti della bolla francese sottolineano come siano le grandi aziende ad avere maggiori opportunità in questa direzione grazie alla disponibilità di più vini di riserva, conservati e lavorati in modo diverso al fine di garantire non solo coerenza ma anche una certa complessità.

Tali precisazioni non giocano a sfavore del piccolo, anzi avvalorano il lavoro di quei piccoli che, invece, con impegno e sacrificio, raggiungono dei risultati straordinari. Dal canto loro, infatti, intervistando i piccoli produttori ricorre spesso una considerazione che li accomuna: la volontà di non ingrandirsi più di un certo limite per non perdere il controllo sulla propria produzione, il che garantisce quello stile unico, quella firma personale e inconfondibile. Personalmente, ho bevuto vini di grandi aziende perfettamente eseguiti e “territoriali” insieme a vini di piccole aziende mal gestiti così come vini di grandi aziende standardizzati al cospetto di vini di piccoli produttori eccezionalmente espressivi. Attenzione quindi alle mode, alle comunicazioni falsate.

La stessa Madeline Puckette di Wine Folly trattando la stessa questione chiosa: se un vino che amate è di una grande azienda allora è probabile che ne producano altri che incontrano il vostro gusto, cercateli; se il vostro vino preferito è prodotto da un piccolo produttore indipendente allora godetevi quello stile unico che ne rappresenta l’essenza.

Per concludere, una cosa è certa: le grandi aziende o i gruppi multi-marchio hanno una distribuzione più ramificata e hanno risorse superiori per farsi conoscere. I piccoli non hanno i numeri (già in termini di bottiglie prodotte) per essere così diffusi, sono più difficili da trovare, elemento che ne alimenta il fascino direi. Dunque sono più che benvenuti, direi indispensabili, eventi come l’Only Wine Festival, che mira specificamente alle piccole aziende e ai giovani produttori, i quali, una volta scovati, possono garantire un’esperienza unica non solo sotto l’aspetto territoriale ma anche, e spesso, umano!

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