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La mia INTERVISTA circa COMUNICAZIONE del VINO e OSPITALITà, sul web magazine ORTICALAB.

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L’intervista:

«La California vi invidia, il mondo cerca autenticità»: l’Irpinia di Chiara Giorleo, international wineblogger

«Bisognerebbe ripartire dal valore emozionale dell’esperienza in vigna e in cantina, quel rapporto privilegiato che le cantine irpine possono creare col visitatore non deve essere un elemento di svantaggio, anzi, dovrebbe essere utilizzato come uno strumento di promozione»

chiara giorleo

chiara giorleo

Chiara Giorleo è una giornalista enogastronomica e una wine&food blogger (http://chiarasfoodandwineguide.com).

Ha alle spalle un percorso professionale di otto anni, nel tempo ha lavorato per enti pubblici e privati curando soprattutto l’aspetto della comunicazione. Tra le esperienze più significative si ricorda la collaborazione con le Cantine Mastroberardino e con la Camera di Commercio di Toronto in Canada.

Tuttora collabora con diverse riviste americane, come il quotidiano di Napa Valley in California e con il Gambero Rosso.

E’ stata membro di importanti giurie in concorsi sul vino come l’IWC ( International Wine Challange) di Londra o l’ultimo, tuttora in corso, per una competizione statunitense tra wineblogger.

La sua passione per i vini e la voglia di approfondirne la conoscenza l’ha spinta a viaggiare molto, sia in Italia che all’estero. Diversi mesi di permanenza in California le hanno permesso di ampliare la visuale sul nostro Paese, dandole modo di osservare le differenze, i punti di forza e di debolezza del comparto vitivinicolo italiano.

Chiara, per prima cosa mi piacerebbe ripercorrere con te il quadro del panorama italiano e, forte della tua esperienza in comunicazione, delinearne gli aspetti proprio sotto questo punto di vista…

«L’Italia è un Paese importante con una produzione molto apprezzata; gli aspetti che colpiscono maggiormente all’estero sono lo stile, l’eleganza, il turismo, il territorio e il modello di qualità. Proprio quando sono stata in California mi sono resa conto che si cerca di imitare alcuni modelli italiani, alcune caratteristiche tipicamente nostre delle quali nemmeno ci rendiamo conto»

Proviamo ad essere più specifici…

«Il discorso è ovviamente molto ampio. Se dovessi pensare a dei modelli vincenti citerei ovviamente la Toscana che è sicuramente una delle regioni più conosciute ed apprezzate, anche in virtù degli investimenti stranieri fatti in passato; penso a Conegliano Valdobbiadene ed al Prosecco, lì è stata fatta una comunicazione incredibile eppure sono talmente attivi che già stanno pensando a reinventarsi di nuovo, cercando di spostarsi più sulla qualità per allontanarsi dalla tipica espressione di “prosecchino”, generica e leggera. Altro grande esempio sono le Langhe con il Barolo: lì si sono focalizzati sulla qualità, forti della vicinanza alla Francia, si sono mossi molto sul piano della comunicazione tramite la partecipazione delle cantine ai concorsi, azione spesso vista ancora come un ostacolo, come una spesa quasi superflua, ignorando i benefici che ne derivano»

Parliamo d’Irpinia. Partiamo da domande esistenziali: chi siamo, dove stiamo andando?

«L’irpinia parte da un grande vantaggio di qualità diffusa e apprezzata con vini importanti. Basti pensare che le uve bianche autoctone in Italia sono pochissime e l’Irpinia può contarne già due. I limiti ci sono, certamente, perché molte “carte” non sono state ancora sfruttate. Esistono dei limiti che riguardano un po’ tutto il territorio italiano. Tra i primi penso alla scarsa organizzazione a livello di logistica e di mobilità. Pensare che l’unico Paese nel quale ancora mi perdo quando viaggio tra le cantine è proprio l’Italia. Poi ci sarebbe un ampio capitolo da dedicare all’accoglienza …»

Ecco, mi spiegavi che l’accoglienza è parte integrante della comunicazione, concetto ancora lontano…

«Da un lato non esiste un tipo di organizzazione ben struttura in grado di concepire dei tour professionali, con persone qualificate, con strutture dotate di sale degustazioni sempre aperte, o almeno aperte con orari ben precisi, possibilmente nei weekend. Dall’altro lato la comunicazione del vino è ancora troppo tecnica, ancorata a formule che poco interessano i turisti e si rivolgono prettamente agli appassionati con un livello di conoscenza avanzato o a professionisti del settore. Bisognerebbe ripartire dal valore emozionale dell’esperienza in vigna e in cantina, quel rapporto privilegiato che le cantine irpine possono creare col visitatore non deve essere un elemento di svantaggio, anzi, dovrebbe essere utilizzato come uno strumento di promozione. I Paesi esteri, la California appunto, sono molto curiosi ed “invidiosi” del rapporto personale che si crea tra il titolare di azienda e il cliente, donato proprio dalla dimensione di conduzione familiare dell’attività. In California tutto si svolge in modo molto commerciale, fin troppo asettico, con personale dedicato all’accoglienza. Un eccesso che priva il turista del ricordo vero da poter raccontare: quello che realmente resta e che vuole il visitatore. D’altronde questo precetto me lo spiegava anche Paul Wagner, docente di un college di Napa Valley»

Tu, però, sostieni di non essere pessimista, anzi prevedi uno sviluppo in questo senso…

«E’ necessario uno sforzo a livello di territorio. L’Italia porta con sé un’ identità contadina per la quale fare il vino non è un modo di fare business, è una nostra tradizione, ci piace farlo e ci piace berlo. Per la California è stato l’inverso. Noi abbiamo questa mentalità ed è assodato,ma non c’è da fare tragedie, dobbiamo rimboccarci le maniche e trasformare questa cosa in un vantaggio. Bisogna giocare con il nostro modo di raccontare il vino, con le situazioni più originali come le degustazioni direttamente in casa o con la possibilità di poter dire quale lavoro ci sia per ogni pianta, date le piccole produzioni. Cominciare a capire che anche i tour dedicati alle degustazioni sono fonte di guadagno è importante: è un modo per creare qualcosa di più grande, per raccontare il territorio, per invogliare a tornare. L’attenzione dei visitatori si cattura con l’autenticità. Ma bisogna cominciare a fare qualche passo: essere reperibili, facilmente individuabili, lavorare sui social, muoversi sul web ed anche partecipare ai concorsi, alle fiere, far circolare il proprio nome e, soprattutto, cominciare a fare rete, cambiare mentalità»

Un problema a dir poco radicato nel nostro Paese…

«Mi è capitato di potermi confrontare con esperti del settore anche stranieri. Peter Mc Combie, uno dei cinque esperti della commissione DOP di Londra, una volta mi ha detto che l’Italia, per la varietà di vini, ha un grandissimo potenziale che la distingue da tutti gli altri Paesi, ma il suo limite sta nel non riuscire a comunicare: c’è una guerra tra produttori, non c’è unione e si tende a promuovere più il marchio, non il territorio di provenienza. Questo può essere valido per le grandi aziende che hanno mercati e dinamiche diverse, ma i piccoli produttori cosa temono? I grandi numeri non riusciranno mai ad interessarsi ad un piccolo produttore bensì ad un’intera aerea, ed è chiaro che un singolo piccolo produttore non può soddisfare quella richiesta ma dovrà avvalersi dell’appoggio di altre aziende che fanno vino di qualità e che si identificano nella definizione, per fare un esempio, di Taurasi o Aglianico. Sarà difficile altrimenti che un londinese medio cerchi da sé un Fiano di Avellino»

Grazie mille Chiara

«Grazie a te»

 

 

 

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