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È curioso pensare che una delle aree con radici storiche più profonde, non solo in termini produttivi ma – per giunta – rispetto al commercio, sia oggi in via di definizione. È noto infatti, senza scomodare i classici (testi o affreschi), che i Greci abbiano diffuso la cultura del vino e i Romani ne abbiano creato un business con fulcro a Pompei.  Eppure è solo grazie al Consorzio guidato da 3 anni da un dinamico e appassionato Ciro Giordano, umile quanto basta per portare avanti un faticoso lavoro di squadra, che si è ripartiti, innanzitutto con la ridefinizione di un disciplinare che ancora confondeva, come uva protagonista dei bianchi DOC del Vesuvio, il locale e tipico Caprettone con la Coda di Volpe riportando che questa fosse “localmente detta Caprettone o Crapettone” (cit. Vecchio disciplinare rimpiazzato nel 2017).

ciro giordano

Sto parlando, evidentemente, dei vini del Vesuvio che si rilanciano con il primo incoming tour tenutosi tra il 14 e il 17 settembre scorsi organizzato dal Consorzio Tutela Vini Vesuvio. Momento perfetto per fare un po’ di chiarezza su un territorio di cui trovo sinceramente superfluo sottolineare il fascino e che ha dalla sua un brand di straordinaria forza: il Vesuvio che è il vulcano “da vino” tra i più famosi al mondo, nonchè il mistero di una leggenda (quella del Lacryma Christi) che tanto aiuta la comunicazione di vino e territorio.

vesuvio crater

E allora eccone gli elementi salienti.

  • Il territorio

La zona di produzione vesuviana si trova al centro dell’area metropolitana di Napoli, a metà tra i Campi Flegrei a nord e Sorrento a sud.

vesuvio soil

Le numerose eruzioni hanno creato una complessa stratificazione e quindi una ricchezza di minerali che rende questa area vulcanica tra le più ricche al mondo. In particolare è alta la concentrazione di potassio che favorisce la produzione di zuccheri (ecco spiegata la dolcezza del pomodorino locale: il pomodorino del Piennolo o delle albicocche vesuviane).

piennolo

I terreni sono chiaramente vulcanici: sabbie nere con pomici e lapilli. Una composizione che consente di evitare l’innesto: il 90% delle vigne sono a piede franco e diffuse con la tecnica localmente detta “pass-annant” (passa-avanti) o “calatura”: un ramo viene interrato (calato) per poi farlo uscire dove è necessario che cresca la nuova pianta.

calatura system

I vitigni si estendono in senso circolare rispetto al complesso Somma-Vesuvio con diverse esposizioni e altitudini (dai 50 ai 400 m s.l.m.) nonchè maggiore o minore influenza del mar Tirreno: nel primo caso si tratta delle località che si affacciano direttamente sul mare (i cui vini sono facilmente riconoscibili nel bicchiere offrendo eividenti note salmastre), nel secondo, dei vigneti più interni. Altro elemento da considerare è che, nonostante si parli più spesso solo di ‘Vesuvio’, in realtà si tratta di un complesso: Somma-Vesuvio quindi con 2 punte e 2 diversi caratteri. Il lato Somma risulta più umido come si nota dalla vegetazione più rigogliosa che richiama il vicino Appennino; il versante vesuviano è più assolato e infatti caratterizzato dalla macchia mediterranea.

somma-vesuvio

  • (Nuovo) Disciplnare e tipologie

La leggenda: “Si narra che un pezzo di Paradiso precipitò nel golfo di Napoli quando Lucifero ne fu scacciato. Cristo, addolorato per la Perdita di colui che era stato l’angelo più buono pianse. Laddove caddero le sue lacrime, nacquero delle viti il cui vino si chiamò per questo LACRYMA CHRISTI”.

Il nuovo disciplinare, in vigore dal 2017, ha fatto chiarezza in particolare sulle varietà, come accennato in apertura; le tipologie sono oggi 25 e fondate su uvaggi, inclusi quelli del Lacryma Christi. Novità assoluta è l’inserimento dei monovitigni con le uve principali della zona.

 

  • Le uve

Le uve protagoniste del territorio sono:
–             Piedirosso: alla base di rossi e rosati, spesso in blend con l’Aglianico suo compagno speculare da sempre dato il suo carattere più leggero e fruttato (rispetto al più poderoso Aglianico).

–             Caprettone: l’uva del Vesuvio alla base dei bianchi a lungo confusa con la Coda di Volpe (per un errore del dopoguerra, la cui forma ricorda la barbetta della capra) anch’esso in blend, spesso con Falangina o la stessa Coda di Volpe.

–             menzione a parte merita la Catalanesca, altra varietà bianca che, insieme al Caprettone, è ormai diffusa quasi esclusivamente in area vesuviana e che si è aggiudicata una IGP a sè (dal 2011). Un’uva catalogata in passato come uva da tavola dati I suoi super poteri: dimensione del grappolo (il doppio del caprettone) e buccia spessa che consentiva una lunga conservazione, caratteristiche straordinarie in periodi di fame (e quando, quindi, il vino era un lusso).

A presto con i miei migliori assaggi tra rossi, rosati, spumanti, bianchi e monovitigno.

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