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Il tema del Marketing del vino mi è particolarmente caro. Sarà perché ho avuto modo di approfondirlo sia all’Università di Salerno sia al College di Napa Valley o perché me ne sono occupata in prima persona sia in cantine che in enti di settore; sarà perché ho modo di osservare tutti i giorni quanto il potenziale qualitativo ed emozionale del vino italiano non sia valorizzato al meglio.

Qualcuno sostiene che il bello sia proprio questo: una spontaneità naturale che rende l’esperienza degustativa quanto più vera. Non ne sono pienamente persuasa. Credo che l’accoglienza senza servizi, il contenuto senza forma, l’approccio educativo tecnico senza ironia, restino successi a metà per quanto i primi (accoglienza, contenuto e formazione tecnica professionale) restino fulcri intorno ai quali costruire comunicazione ed enoturismo. Comprendere che una cosa non esclude l’altra è l’ostacolo più complesso in un paese (giustamente) orgoglioso come l’Italia; e tutto questo nonostante la possibilità di confronto con realtà virtuose dall’approccio contemporaneo come la California (leggi qui: CG for WBM) o, ancora meglio, il Sud America che sta registrando importanti successi proprio nell’ambito dell’enoturismo come dimostrato in occasione del WBV – World’s Best Vineyard 2019, il concorso sull’enoturismo lanciato a Londra quest’anno per premiare le migliori 50 aziende in termini di ospitalità, classifica nella quale il Sud America ha conquistato ben 5 posizioni tra le prime 10.

Tutto cambia se aziende appartenenti a denominazioni prestigiose come quella del Vino Nobile di Montepulciano aprono le porte ad attività ludiche quasi rivoluzionarie come i “Wine Learning Games” della cantina La Ciarliana con blind tasting games grazie ai quali l’enoturista deve indovinare alla cieca i vini precedentemente degustati, individuare gli abbinamenti cibo-vino “impossibili” e quelli più classici o, addirittura, provare a creare il proprio blend da sottoporre a un giudice imparziale.

Finalmente!

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