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Il Sake Day si tiene in Giappone il primo ottobre e quest’anno Giovanni Baldini, titolare di Firenze Sake, quindi importatore di sake artigianali, direttore di Sake News e fondatore della Scuola Italiana Sake, ha ben pensato di organizzarlo anche in Italia. Una giornata tutta dedicata alla cultura giapponese: dalla calligrafia alla cerimonia del tè, dai cibi regionali ai sake appunto. Un appuntamento delizioso che senz’altro apre una stagione nuova con nuovi venti a favore dell’approvazione sempre più piena di un prodotto, il sake, e, in generale, di una cultura di estremo fascino.

Con il sostegno delle Associazioni Giapponesi più importanti in Italia e sul territorio toscano, il Sake Day 2021 si è tenuto a Firenze lo scorso venerdì presso il Renny Renaissance Firenze. Dopo una serie di attività di alto profilo, si è tenuta una breve conferenza su Sake e Dieta Mediterranea nonché una degustazione di Sake tenute da Gaetano Cataldo, sake sommelier che intervistavo di recente (qui).

Mi rivolgo direttamente a loro, quindi.

 

Giovanni, a che punto siamo con la diffusione della cultura giapponese del sake in Italia?

Siamo a buon punto, ma ancora c’è molto lavoro da fare. Per comprendere il fenomeno del sake bisogna assumere una prospettiva europea. Anzi direi che la conoscenza del sake sia relegata ad alcune importanti capitali europee e a quelle – poche – città italiane la cui visione tende verso un modello culturale più aperto alle novità, Milano in primis.  Ed allora, da fiorentino quale sono, non posso non pensare all’andamento del sake in Italia senza tirare in ballo l’antico motto che Cosimo I fece suo: “Festina lente” (“Affretati lentamente”, ndr). Un motto che sembra calzare alla perfezione per fotografare l’andamento della cultura del sake degli ultimi quarant’anni. Se infatti è vero che il sake ha sviluppato nell’ultima decade una progressione veloce nelle vendite, è altrettanto vero che se si guarda al primo momento in cui la conoscenza del sake è stata promossa in ambito europeo nei tempi moderni, dagli anni ottanta ad oggi… bè, da questo punto di vista potremo dire che il sake ha avuto un lento e a volte sincopato progredire, eppure costante. Siamo andati via via verso un mondo globale che porta ad una maggior libertà di scelta di prodotti che prima non erano disponibili in modo così diffuso nei nostri mercati. Oltretutto il sake è stato opportunamente sostenuto da una sempre più ricorrente attività di promozione del governo giapponese. Bisogna infatti riconoscere che la qualità del sake di oggi, è una ulteriore novità. L’avvento nelle cantine di attrezzature moderne sempre più precise ha sortito un effetto sorprendente unito alla competenza acquisita in secoli di produzione del sake. C’è stato da parte dei produttori di sake una rinnovata sensibilità per diversificare le produzioni, per comprendere i gusti dei propri consumatori, per affinare i propri sake e renderli così contemporanei.

A tutto questo si deve aggiungere un dato statistico interessante che ha di certo influito: negli ultimi dieci anni il Giappone è stato uno dei paesi che ha saputo meglio attrarre il flusso turistico internazionale. Potrei citare altre esperienze che hanno promosso il Giappone e il sake a farsi apprezzare in Italia: vi ricordate quale padiglione dell’Expo di Milano del 2015 è stato uno tra i più visitati? E vi ricordate le botti di sake giapponesi che erano messe in bella vista nella struttura del padiglione?

Detto questo vi sono ancora ampi spazi di sviluppo del sake in Europa e – di riflesso – in Italia. In fin dei conti, per ora, questo movimento di diffusione della cultura del sake è sostenuto solo dallo sforzo economico di piccole cantine e non già da una delle “grandi sorelle del sake” (le ditte che producono il 70% del sake in Giappone). E quindi ancora oggi, parlando di sake, val bene il motto “Festina lente”, d’altronde se il mercato italiano sia pronto o meno per comprendere il sake lo dirà il prossimo futuro.

 

Gaetano, quali sono, a tuo avviso, i tratti del sake che potrebbero conquistarci in Italia e quali, ancora, le resistenze?

In effetti reputo che il sake abbia già conquistato l’Italia, anche se limitatamente a poche regioni ed ancor meno ristoranti specializzati su tutto il territorio. Abbiamo ottenuto lo straordinario risultato di essere i primi importatori in Europa e questo soprattutto grazie a quattro fattori: il consenso ottenuto all’Expo di Milano del 2015, il fascino che la Cultura Giapponese esercita sul nostro Popolo, l’incremento dei ristoranti sushi e, naturalmente, la vocazione della Dieta Mediterranea a maritarsi con il fermentato di riso e koji.

Il gap negativo, le resistenze pertanto, consistono in alcune opinioni tanto diffuse quanto errate sul sake, la vendita di prodotti surrogati o di scarsa qualità presso ristoranti spesso non gestiti da giapponesi o comunque non da imprenditori di alto profilo ed infine per la seguente ragione: manca il personale qualificato che, nell’approccio col pubblico, sappia divulgare la cultura e la conoscenza delle tecniche produttive, la descrizione dei diversi stili e quindi suggerire gli abbinamenti più appropriati col sake. Insomma abbiamo bisogno di più sake sommelier, di bartender specializzati e di chef che sappiano ricreare nei loro piatti quell’appeal “sake oriented”.

Di per contro è bene sottolineare che il pubblico dei non addetti ai lavori si sta sempre più alfabetizzando e arricchendo di nozioni specifiche sul sake, come rilevato dal flusso di lettori di Sake News, segno questo che lascia ben sperare in un radioso futuro per il bere giapponese in Italia.

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