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Kissos non è (solo) un vino ma un progetto, un faro per il territorio, per proiettare la Falanghina verso ulteriori orizzonti.

La degustazione di qualche settimana da presso Palazzo Petrucci a Napoli è andata ben oltre le note di degustazione e gli stessi punteggi che, proprio perché diffusamente alti tra tutti gli ospiti: stampa e operatori, lanciano un vino così popolare – nell’accezione migliore del termine – così apprezzano anche all’estero verso ulteriori frontiere.

rillo brothers

L’assaggio è stato preceduto da una puntuale descrizione del lavoro a monte di una collezione così preziosa. L’avventura dei fratelli Rillo parte nel 2001 e si chiama Cantine Tora, prima annata 2004 con focus chiaro sulle eccellenze del posto: Falanghina e Aglianico del Taburno. Poi arriva Kissòs: la sfida sull’invecchiamento della Falanghina in collaborazione, ormai, con Angelo Valentino.

angelo valentino, winemaker

L’altitudine, non scontata, i suoli argillosi ma con incursioni sabbiose decisive consentono la produzione di Falangina con struttura e concentrazione oltre che profumi: il mix perfetto per pianificare un potenziale di invecchiamento. Il primo passo fu, quindi, quello di individuare i migliori siti come, nello specifico, Torrecuso e un design non a favore della meccanizzazione ma delle esposizioni che non portino a eccessi ma alla conservazione degli aromi al fine di indirizzare il percorso delle uve migliori verso un risultato di successo nel tempo insieme ai giusti porta-innesto per un processo di maturazione lento. Tutte lezioni apprese in Francia, e in particolare in Alsazia: attenzione massima alla maturazione di vinaccioli e bucce, lunghe fermentazioni con lieviti indigeni che reggono le alte concentrazioni andando anche a sostenere la struttura finale.

Un vino figlio del Sud sin dal colore dorato con aromi che dipendono dall’evoluzione: canditi, ginestra, ananas, anice o miele. Il carattere della Falanghina marca il passo sempre teso con finale spesso salino e sentori che rispecchiano anche molto l’annata ma l’esotico fa spesso capolino tanto a ricordare la varietà da queste parti.

Giovanissima la 2018 con profumi di agrumi, fiori bianchi, cipria, roccia ed erbette che nonostante la trama vellutata si gioca ancora sulle acidità. Più pronta la 2017 che, vista la siccità, offre un frutto maturo come la pesca e un soffio di brezza marina ma al palato è più stabile e integrata. La 2016 ci fa ben sperare con frutto esotico, iodio e crema pasticcera ad annunciare un sorso morbido e coerente ma ancora in divenire. Strepitosa la 2015 in magnum peraltro, con note di pesca sciroppata, tostature, iodio e talco per un assaggio setoso ma vivo e lunghissimo. Incredibile la 2012 con i terziari che si combinano ai primari in un gioco di rincorse: infusi ai frutti tropicali, liquirizia, cenere e miele insieme a soffi di noccioline, ma quanto è vivace!

Un progetto che si palesa coerente e ben centrato se le annate preferite, e non solo da me a quanto pare, sono proprio quelle più vecchie come 15 e 12. Un valore simbolico per il territorio nel complesso, appunto, se un ristorante offrisse una lista di annate per la Falanghina come si fa per i rossi.

palazzo petrucci, chef scarallo

Inutile soffermarsi sui piatti dello chef Scarallo che come al solito hanno elevato una degustazione di questo tipo con piatti della tradizione e non raffinati senza perdere la decisione del gusto.

 

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